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Intervista a Max Vitali

Intervista a Max Vitali

Max Vitali è un giocatore, un manager, un organizzatore di eventi. Tutto in nome dell'Ultimate.
Lo abbiamo incontrato al Burla Beach Cup di quest'anno e abbiamo avuto il piacere di parlare con lui, di progetti passati e futuri e di uno sport in continua crescita. Ma non sono io che vi devo raccontare questo...
buona lettura.
L'intervista è stata realizzata e redatta da Diego Melisi.

D.M.: Siamo al Burla con Max Vitali. Intanto volevo chiederti, come stai?
M.V.: Ho preso una storta il primo giorno, ho deciso di non giocare per conservarmi per il quarto di finale. Non è andato bene ma almeno sono riuscito a giocare. Basta qualche giorno di riposo e poi si riparte.

D.M.: Come hai iniziato a giocare a frisbee?
M.V.: Ho sentito parlare tramite amicizie di questo sport strano che si giocava con il frisbee. Sono andato a provare, mi è piaciuto e sono rimasto.

D.M.: Prima facevi altri sport?
M.V.: Ho sempre fatto molti sport, ho giocato a pallacanestro, tennis, calcetto e calcio. Niente a livello professionistico, semiprofessionistico o nemmeno vicino.

D.M.: Ci interessa molto la tua esperienza negli Stati Uniti. Vuoi raccontarci come è iniziata?
M.V.: La cosa è nata con il lavoro che stiamo facendo con Matteo (Ercoli N.d.R.) con Ultimate Events per provare a portare un po' di professionismo e professionalità nello sport, che è anche quello che state facendo voi.
All' interno dei vari progetti abbiamo organizzato vari “clinic” portando qui in Italia dei giocatori americani con i quali per fortuna e coincidenze avevamo giocato nel corso degli anni a Firenze e che poi erano finiti a giocare nei Sockeye. Abbiamo mantenuto i contatti e abbiamo visto che erano ragazzi molto alla mano e disponibili e valeva la pena andare a provare un semestre per le loro selezioni. Mi hanno detto che avrei potuto andare lì per completare il ciclo e, a prescindere dal risultato, ho fatto amicizie e ho sviluppato contatti. In America l' Ultimate si sta sviluppando a livello professionistico, nella squadra a Seattle è venuto fuori il mio nome e sono contento di esserne parte.

D.M.: Indubbiamente è una soddisfazione anche per l' Ultimate italiano, no?
M.V.: Si. I Rainmakers sono, al momento, la squadra professionistica più seguita al mondo. Dai contatti che abbiamo tramite Facebook e dal sito internet possiamo dire di essere ben davanti a tutti. Credo sia così perché la squadra ha un concetto di internazionalità dovuto principalmente al gruppo di giocatori dei Sockeye, che si sono sempre prodigati per sviluppare lo sport rendendolo particolarmente appetibile. Onestamente sono molto orgoglioso di farne parte.

D.M.: Sicuramente tu più di tutti puoi spiegarci cosa sta succedendo in America. Sappiamo che c'è un tentativo di andare verso il professionismo nell' Ultimate con la nascita di diverse leghe. La situazione è un po' confusa, ce la puoi spiegare?
M.V.: Il concetto è che l' Ultimate è uno sport meraviglioso per i giocatori perché c'è la comunità, c'è il fatto di essere giudici di se stessi perché c'è la possibilità di relazionarsi direttamente con gli avversari. E' un contesto che veramente è diverso dagli altri sport.
Quello che però manca è il fatto che una persona che viene a vedere le partite buona parte delle volte non capisce cosa sta succedendo in campo. In America, dove la politica del business è molto più sviluppata e l' Ultimate ha 5 milioni di praticanti, una conseguenza naturale è stata quella di renderlo un po' più “spectator friendly” e vedere di riuscire a sviluppare un progetto che portasse la gente a vedere giocatori di alto livello nello stadio.
Da questo punto di vista ha iniziato l' AUDL con un progetto ambizioso, forte, ma con sicuramente alcune lacune che ogni pioniere può avere. MLU è un' evoluzione che cerca di sviluppare un progetto simile con una filosofia alla base di lega tra giocatori, piuttosto che di singole squadre. Quindi non c'è un processo darwiniano per il quale se sei bravo continui e se non sei bravo sei destinato a sparire ma quello di creare un nucleo di squadre che siano sempre le stesse, o che, al massimo, possono solo aumentare.
Sono due filosofie e dire chi sopravviverà e chi non, cosa succederà, e se ci sarà mai un' unione è impossibile al momento. Sinceramente l' MLU ha fatto un ottimo sviluppo dal punto di vista mediatico. La misura di questo ce la danno internet e Facebook e siamo arrivate ad avere dei numeri veramente inaspettati. E' chiaro che alla base ci sono investimenti rischiosi. Chi pensa che sia un investimento a basso rischio e alto rendimento si sbaglia: domani potrebbe finire tutto perché la gente non va più a vedere le partite allo stadio.
AUDL e MLU sono il primo vero tentativo di portare l' Ultimate alle persone e l' arbitro è il prezzo che si paga per avere meno discussioni, meno tempi morti e soprattutto per far capire cosa sta succedendo in campo.

D.M.: Però confrontando l' Ultimate con altri sport, penso al football americano, possiamo dire che non ci sono pause così significative da rendere questo sport meno interessante. Sei d' accordo?
M.V.: Sì, ma il problema vero è la comprensione più che il tempo. Anche giocatori esperti quando succede qualcosa in campo non hanno la percezione di quello che sta succedendo. Tante volte ti trovi a chiedere al tuo compagno di gioco: “C'era travel?!” “No, c'era una chiamata precedente; oppure quello pensava che fosse fuori e allora ha fermato il gioco”.. creando di fatto un circolo vizioso di interpretazioni.
La USAU sta cercando, tramite l' accordo con la ESPN, di rendere questa una parte integrante del gioco e probabilmente metteranno i microfoni in modo che si possano sentire le conversazioni tra i giocatori. Potrebbe essere una soluzione intermedia. Il problema non è fare la cosa giusta o la cosa sbagliata ma capire quando la gente spegne il cervello e smette di guardare, se vogliamo che la gente venga allo stadio. Altrimenti organizziamo un torneo come il Burla che è meraviglioso e dove possiamo divertirci e dove l' arbitro non serve.

D.M.: In un processo che va verso il professionismo è comunque importante mantenere la cultura dello Spirito del Gioco, soprattutto per formare le nuove generazioni di giocatori?
M.V.: Assolutamente. Deve essere il mattone fondante il nostro sport. La responsabilità della persona che è in campo è la caratteristica che ci differenzia dagli altri sport.
Nello sport americano quest' anno una delle grosse discussioni, fuori dal contesto dell' Ultimate,  era stata relativa ad alcune chiamate nelle finali dell' NBA nelle quali i giocatori stessi dicevano: “se io riesco ad imbrogliare l' arbitro per me è una vittoria!” E' una considerazione personale, ma credo che noi dovremmo sempre considerare questa come la peggiore sconfitta dello sport.
Lo sport sta crescendo e fa innamorare le persone che lo praticano proprio per i valori che sono alla base. Non puoi togliere questi valori e pretendere di praticare lo stesso sport. Diventa uno sport diverso.
Ad esempio, quello che noi abbiamo fatto nell' MLU, noi intenso come gruppo di Italiani, è stato quello di pretendere che ci fosse una regola legata allo Spirito Del Gioco. Ci sono state grandi discussioni, ma è stato bello vedere che la lega ascolta gli input che provengono dall' esterno. Tutto è migliorabile, ma non si possono cambiare i valori di base. Una delle cose che è successa in finale di Conference quest' anno è relativa ad una chiamata importante su punto controvento, una chiamata a nostro favore. L' arbitro ha chiamato fallo perché un giocatore aveva preso una botta abbastanza forte e aveva bisogno di due minuti per riprendersi. L' arbitro ha chiesto di velocizzare e i giocatori gli hanno detto “Per favore aspetta un attimo, la risolviamo noi”. Questo è il valore che si dovrebbe insegnare; perché se due giocatori avversari interagiscono con l' arbitro dicendogli: “Ti diciamo noi quello che è successo”, togli automaticamente all' arbitro la possibilità di sbagliare. In quell' episodio la chiamata dell' arbitro è stata cambiata e probabilmente ha cambiato anche l' esito dei campionati, ma sono episodi come questo che rendono veramente diverso il nostro sport.
Noi riceviamo moltissime e-mail di persone che vengono per la prima volta, vedono succedere una cosa del genere e dicono “Questo, per me,  è lo sport più bello del mondo” perché, ad esempio, un giocatore ha reso il disco all' avversario anziché accettare una chiamata sbagliata a suo favore. E questo è successo con l'arbitro in campo. Quindi, in definitiva, non è l' arbitro ma il giocatore che fa la differenza.

D.M.: Tu sei giocatore ma anche un manager. Che cosa ti dà più soddisfazione fare?
M.V.: Tutto. Io ho avuto la fortuna di fare parte della squadra di Firenze, di avere un buon maestro come Paul (Bernier n.d.r.) e di avere un gruppo di amicizie e un background da imprenditore che sicuramente ha aiutato. Però è un mondo che mi sto costruendo su misura. Avremo l' enorme responsabilità dei mondiali l' anno prossimo. E' l' anno di osservatorio del Comitato Olimpico e il delegato è stato piuttosto chiaro sul fatto che quello che il Comitato Olimpico deciderà, per buona parte dipende anche dalla qualità degli eventi WFDF che si svolgeranno nel 2014.

D.M.: Da dove prendi tutto questo entusiasmo?
M.V.: Guardando sempre al prossimo progetto e dalla possibilità di lavorare ogni giorno con Gemma e Matteo; senza di loro questo non sarebbe possibile.  Abbiamo organizzato i mondiali U23 nel 2011 e già stavamo pensando di andare in America. Siamo andati in America e stiamo pensando ai mondiali del 2014. Sinceramente ora sto pensando alle vacanze del 2014… però, scherzi a parte, vedere gli sviluppi tenendo sempre un occhio al futuro è la cosa che ti dà l’entusiasmo di svegliarti ogni mattina. Sceglierti il lavoro, poter decidere con chi lavorare e avere la possibilità di farlo con degli amici non sono certo aspetti secondari, ma è sempre vedere al domani la cosa più bella.
Come dicevamo, nell' Ultimate ci sono le leghe professionistiche, la ESPN che è entrata, i mondiali con più di 4000 atleti. Siamo, in termini di grandezza, appena sotto un' olimpiade. C'è un fervore, un' attività, un cambiamento tali che sarà bello tra dieci anni poter dire: “Ne ero parte”. E, onestamente, questo è impagabile.

D.M.: Lo scorso Luglio si sono Giocati in Colombia i World Games e tra tutti i vari sport c'era anche l' Ultimate. E' questo il prossimo obiettivo del nostro sport? Entrare a far parte dei giochi olimpici?
M.V: Il prossimo obiettivo è quello di essere riconosciuti ufficialmente dal Comitato Olimpico. Le cose vanno fatte passo dopo passo. Le Olimpiadi sono l' aspirazione di ogni sport, l' Ultimate paga come gioco di squadra che per un' Olimpiade è molto costoso. Un' Olimpiade coinvolge un numero di atleti limitato e introdurre una medaglia per portare 100 atleti è già un fattore negativo di per sé, ma è una cosa che, nel futuro, potrà sicuramente accadere perché i valori sono quelli di cui parlavamo prima, perché lo sport è estremamente spettacolare e soprattutto perché i valori olimpici sono ben rappresentati dal nostro sport. Sicuramente è una prospettiva realistica, ma il processo è ancora estremamente lungo: oggi siamo alla preistoria. Se davvero avverrà è tutto ancora da decidere, dipende da troppe cose. 

D.M.: Ti lascio con quello che ormai è il nostro mantra: hammer o non hammer?
M.V.: Io no. Ma solo perché in partita faccio quello che so fare. Chi lo sa fare è bene che lo faccia.

Fonte: Ultimatefrisbee.it